La nuova collaborazione tra Swatch e Omega ha generato file di appassionati pronti ad acquistare gli orologi per primi. Perché?
Pur facendo parte dello stesso gruppo orologiero (The Swatch Group), i due brand hanno firmato solo poco tempo fa la loro prima collaborazione, che ha avuto la luce il 26 marzo nei negozi Swatch. Omega è un’azienda svizzera che produce orologi di lusso nata nel 1848, un marchio divenuto famoso col tempo grazie alla partecipazione come cronometristi alle Olimpiadi del 1932 e alla scelta della Nasa di utilizzare lo Speedmaster per le proprie missioni.
Swatch è invece considerato marchio low-cost di produzione di massa; grazie a una campagna di marketing aggressiva e un prezzo basso è diventato subito popolarissimo.
La collaborazione, inattesa, provocatoria e visionaria, ha dato vita a undici modelli di orologi ispirati allo Speedmaster Moonwatch di Omega, per una collezione dedicata allo spazio e al Sistema Solare. Questa partnership ha creato sorpresa nel mercato, dando vita ad una corsa agli acquisti con code lunghissime fuori dai negozi.

La collab rappresenta il fenomeno del co-branding, che avviene quando due marchi si incontrano per dare vita a un nuovo prodotto, per mezzo della combinazione dei vantaggi e del know-how di ciascuno dei due.
In questo caso, il co-branding avviene tra un marchio low cost, come Swatch, e uno high-end, come Omega. Qui si fondono i valori dei due brand: da un lato rarità, simbolismo e dall’altro miglior rapporto/qualità prezzo, accessibilità, vasto pubblico. Senza contare che questa strategia permette di raggiungere molto più velocemente alcuni obiettivi strategici quali: un miglior utilizzo delle risorse, un time-to-market ridotto, maggior visibilità e viralità sul mercato, condivisione dei costi e di conseguenza dei rischi e infine una miglior “difesa” verso i concorrenti.
Con questa strategia Swatch ha sicuramente guadagnato in termini di brand value, facendo propri quei valori di affidabilità, durabilità e lusso tipici di Omega e slegandosi, magari per un periodo, dalla nomea di marchio economico. Omega ha senza dubbio allargato il proprio target di consumatori, rendendosi disponibile anche a chi è dotato di minori risorse economiche, ma rischiando di erodere il proprio valore percepito, sebbene con un modello ispirato all’originale ben più costoso.


Sia in questo caso che in quello di Swatch x Omega si sono create le file davanti ai negozi perché i consumatori volevano e potevano effettivamente accedere a quel lusso comunicato dalla creazione di pezzi unici e limitati.
Le collab di questo ultimo genere riflettono un fenomeno detto democratizzazione del lusso: secondo Marco Semeghini, docente di Fashion Business presso l’Istituto Marangoni Firenze, il lusso non è più riservato ad una ristretta fascia di consumatori ma si apre ad un target più ampio. La differenza tra bene di lusso e bene accessibile non risiede più esclusivamente nel prezzo, che in caso di collaborazioni strategiche si abbassa per essere in linea con entrambi i brand coinvolti; la nuova chiave di lettura sta soprattutto nel contenuto emotivo e nel valore artistico del bene. I marchi di lusso cercano sempre più di comunicare il contenuto del brand (brand content) per mezzo dell’esperienza di lusso (brand experience), prettamente sensoriale e fatta non solo dal prezzo del prodotto ma anche da degustazioni, profumi, suoni e altri particolari studiati per dimostrarne il valore.
É chiaro che, secondo questi nuovi criteri non più esclusivamente di natura economica, anche un target meno abbiente può apprezzare il valore del bene di lusso e l’esperienza di marca comunicata, soprattutto se la collaborazione con un brand low cost lo rende più accessibile.
Autori: Silvia Pavanati e Rebecca Esposito